PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 8 aprile 2018 - II Domenica di Pasqua - B

                                                          

1ª lettura: Atti 4,32-35

2ª lettura: 1 Gv 5,1-6

Vangelo: Gv 20,19-31

Bigotti? Anche no…

 

I nostri fratelli d’Oltralpe, i Francesi, sono sempre stati notoriamente critici di fronte a ogni forma di religiosità “di massa”, o a espressioni di fede puramente devozionali o identitarie, intorno alle quali, cioè, un popolo costruisce la propria cultura e tradizione. A questa popolazione e alla loro antica lingua romanza si deve un termine divenuto popolarissimo, e il cui concetto è ora per noi facilmente comprensibile: “Bigotto”. Pare che questo termine derivi dal modo dispregiativo con cui le antiche tribù dei Franchi definivano i Normanni (progenitori delle popolazioni tedesche), i quali – nelle loro scorribande in terra francese, fatte di saccheggi e di furti – erano soliti intervenire e farsi presenti con una frase che suonava quasi da grido di guerra: “Bei Gott!” (da cui appunto il francese bigot), che altro non significa che “per Dio”. Con questo, i Normanni o chi per loro, giustificano tutto quanto commettevano attribuendone a Dio l’onore e la gloria: e questo, non perché fossero particolarmente devoti e credenti, ma perché volevano ingraziarsi i favori di una delle figure più importanti del Medioevo, ovvero il Papa, che in questo modo poteva stare tranquillo, sapendo di poter contare su popolazioni che invece di venire considerate rozze, barbare e senza alcuna cultura, preferivano essere considerate “bigotte”, cioè totalmente dedicate alla causa di Dio, senza “se” e senza “ma”.

Questa introduzione storica, un po’ “digressiva”, mi serve non tanto per sapere se noi siamo o no “bigotti” come i Francesi dicevano dei Normanni (su questo, ognuno farà poi il proprio esame di coscienza), ma per affermare che se nel vangelo c’è una persona che può essere definita in tutte le maniere che vogliamo (incredulo, miscredente, dubbioso, diffidente, ficcanaso, curioso…) ma di certo non “bigotto”, questi è proprio l’apostolo Tommaso. Tommaso viene sempre preso come simbolo del “miscredente”, di colui che non crede in Dio, di quello che vuole sempre essere sicuro, colui che prima di credere in Dio vuole metterlo alla prova, di chi non fa nulla “per Dio” tanto per farlo… Al contrario di chi, invece, in maniera “bigotta”, fa tutto quanto “per Dio”, in maniera incondizionata, senza porre condizioni, appunto, perché se c’è Dio di mezzo, tutto quanto risulta perfetto e semplice nella nostra vita, e guai a chi prova a dire qualcosa in contrario o a mettere in discussione le cose di Dio!

Avete mai parlato con una persona “bigotta”, che fa qualsiasi cosa “per Dio” e “per la Chiesa” solo perché l’ha detto Dio, o – siccome Dio difficilmente comunica con gli uomini a tu per tu – perché l’ha detto la Chiesa, il Papa, i vescovi o i preti? Beh, vi assicuro che a me è capitato, qualche volta: ed è faticoso riuscire a ragionare con persone “bigotte”, perché difficilmente sono disposte a crescere nella vita di fede mettendo in discussione ciò in cui credono. “Ma la fede non si mette in discussione. In Dio bisogna credere e punto! Se hai dei dubbi di fede, vuol dire che ancora devi convertirti!”: questa è una tipica affermazione “bigotta”, dalla quale si può capire che una persona sarebbe disposta a fare di tutto “per Dio”. E nella storia, di gente che ha fatto di tutto “per Dio”, ce n’è stata molta, e nella stragrande maggioranza dei casi non sono state cose molto piacevoli…

No, Tommaso non era un bigotto: e il suo stesso nome la dice lunga. Tommaso non era solo soprannominato “Didimo”, ovvero “Gemello”: il suo nome stesso significava, in ebraico, “Gemello”. E Tommaso era un vero e proprio “gemello”: non tanto nel senso biologico del termine (non abbiamo notizie storiche sul fatto che Tommaso avesse un fratello gemello), quanto nel senso figurato, cioè di “doppio”, diviso in due, dalla personalità “parallela”. Ed è proprio questa sua “doppiezza” il punto di partenza di un cammino di fede che lo porterà dalla sua condizione di “incredulo” a essere un vero “credente”, come lo definisce affettuosamente Gesù la sera di quella domenica dopo Pasqua: “Non essere incredulo, ma credente”.

Lui, Tommaso, a essere “bigotto” non ci teneva proprio; a fare le cose “per Dio” solo perché lo diceva la Chiesa (allora la Chiesa erano gli Undici) non ci pensava nemmeno. Voleva vederci chiaro, in questo Gesù morto e poi tornato in vita. Ma soprattutto, voleva che la sua fede fosse la conclusione di un cammino faticoso, nel quale spesso egli è stato “gemello”, ovvero “doppio”; nel quale, cioè, egli si è ritrovato a volte a credere con slancio e generosità (“Andiamo anche a noi a morire con lui”, diceva agli altri apostoli quando si trattava di tornare in Giudea per la morte di Lazzaro, sapendo che Gesù era stato minacciato di morte dai Giudei), e a volte chiedendosi dove lo voleva portare questo Gesù al quale aveva affidato la sua vita, come quando nell’ultima cena chiede al Maestro di spiegargli quale fosse la via per seguirlo (“Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”).

Il suo tormentato cammino “gemellare” di fede termina proprio quella sera, la domenica dopo Pasqua, quando egli ha atteso il Maestro non per sfidarlo, ma per vedere veramente con i propri occhi e con il proprio cuore che egli fosse risorto: lo voleva credere e professare non perché gli altri glielo avevano detto, ma per esperienza diretta. Non voleva essere “bigotto” e fare le cose “per Dio” solo perché tutti dicevano che bisognava farlo: voleva credere per esperienza diretta, personale, perché aveva bisogno di un Dio al quale affidare la propria vita. E lo fece con la più bella espressione di fede del Vangelo di Giovanni: “Mio Signore e mio Dio!”.

Essere “bigotti” all’interno di una comunità di credenti, è la cosa più facile e più ovvia che si possa fare: basta fare tutto “per Dio”, come fanno in molti. Essere credenti, invece, significa ben altro: significa arrivare a riconoscere Gesù come Signore e Dio dopo un profondo e tormentato cammino di fede, fatto anche di dubbi e di incredulità, come fece Tommaso. Lui ha dovuto subire l’amorevole rimprovero del Maestro. Noi, invece, abbiamo una fortuna in più: siamo “beati” perché possiamo credere in Gesù pur senza averlo visto di persona. E forse, in questo, Tommaso, inconsapevolmente, ci ha dato una mano…