PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 30 settembre 2018 - XXVI Domenica T. Ordinario - B

 

1ª lettura: Nm 11,25-29

2ª lettura: Gc 5,1-6

Vangelo: Mc 9,38-43.47-48

 

“Nel nome di Gesù”

 

“Don, scusa una cosa: come mai quella persona fa quell’attività qui in parrocchia da noi, che non è neppure di qui?”; “Don, come mai c’è gente che fa volontariato in oratorio e non li vedi mai a messa?”; “Don, ma questa attività non era programmata: come mai quelli che l’hanno organizzata non si mettono insieme con noi e non chiedono a noi, prima di fare qualcosa?”. Chiacchere da bar? Può darsi. Però sono chiacchere vere, frasi che si sentono spesso dire proprio ai bar, nei bar dei nostri oratori o dei nostri circoli parrocchiali! Frasi che denotano forse anche una certa invidia o gelosia, o magari anche una rabbia covata e rimasta a lungo repressa: di certo, sono frasi che non contribuiscono a costruire una comunità di persone che crede negli stessi principi, negli stessi valori, negli stessi insegnamenti di fede, ognuno ovviamente con la propria specificità e le proprie caratteristiche.

Frasi che non rappresentano affatto una novità, e che comunque non riguardano in maniera specifica una parrocchia più che un’altra, un oratorio più di un altro: è un fenomeno molto diffuso ovunque, e che viene da molto lontano. Da dove? Da Cafarnao, sulle rive del lago di Galilea, più o meno verso i primi anni ‘30 della nostra era cristiana. Il buon Giovanni, discepolo di Gesù, mentre il Maestro sta parlando di servizio e di attenzione ai più piccoli, lo interrompe senza mezzi termini dicendo che aveva impedito a un tale di fare un miracolo “nel nome di Gesù” (concretamente, di scacciare demoni) per il fatto che “non ci seguiva”, ovvero che non faceva parte del gruppo dei Dodici. Giovanni non era nuovo a questi episodi di intransigenza e di intolleranza: anzi, proprio il brano parallelo a questo nel vangelo di Luca, prosegue con Giovanni e suo fratello Giacomo che vogliono invocare un fuoco dal cielo perché bruci un villaggio di samaritani, i quali non avevano accettato che Gesù li visitasse…alla faccia del mettersi al servizio degli altri! E chi sono questo “altri”? Beh, certamente anche e soprattutto quelli che non fanno parte del gruppetto dei discepoli, dei Dodici, che continuavano a sentirsi privilegiati rispetto agli altri (sì, perché non pensiate che la cosa riguardi solo Giovanni…) in quanto “seguaci” di Gesù.

A che gruppo apparterrebbe, oggi, Giovanni? Con chi si identifica il “gruppetto” di quelli che segue Gesù, oggi? Con il gruppo liturgico? Con il gruppo dei catechisti? Con il gruppo dei volontari? Con il gruppo missionario? Con gli animatori? Con qualsiasi altro gruppo parrocchiale presente in una qualsiasi comunità parrocchiale di qualsiasi chiesa cristiana cattolica sparsa sulla faccia della terra? Può darsi, ma non è quello il problema: il problema riguarda ognuno di noi, seguace di Gesù, ogni volta che manifestiamo intolleranza, invidia o gelosia per chiunque crede nel nome di Gesù, fa delle scelte di vita nel nome del Vangelo, professa la propria fede e il proprio amore a Gesù e ai fratelli in modo diverso, distinto e magari anche alternativo rispetto a quello che viviamo noi. Come se il nostro, tra l’altro, fosse quello vero e l’unico possibile.

È questione di tolleranza e di umiltà: l’umiltà di riconoscere che nessuno è padrone del messaggio del Vangelo, bensì servo del Vangelo; la tolleranza di chi accetta che la famiglia dei discepoli di Gesù non ha etichette e non si basa su appartenenze a gruppi, ma solo sul fatto che ciò che facciamo, lo facciamo “nel nome di Gesù”. E il nome di Gesù è amore, rispetto, servizio agli altri, specialmente ai più deboli e ai più piccoli. E allora Gesù, dopo aver messo in riga Giovanni e gli altri discepoli su questi atteggiamenti di intolleranza, riprende il suo discorso sul servizio proprio a partire da questo concetto: qualsiasi cosa fatta “nel nome di Gesù”, ovvero nel nome del servizio e dell’amore ai fratelli, non rimarrà senza ricompensa. Al di là del fatto che avvenga all’interno di un gruppo parrocchiale, di un movimento, di una famiglia religiosa, o di tutto ciò che si identifichi chiaramente con la nostra religione cristiana. Perché essere seguaci di Gesù, non è un fatto di identità o di appartenenza, ma di fede: di fede nel suo messaggio, di fede “nel suo nome”.

E credere nel nome di Gesù, seguire il nome di Gesù, significa appartenergli non perché membri di un gruppo, ma perché ci si affida a lui con tutto noi stessi: con le nostre attività, con la nostra condotta di vita, con i nostri criteri di giudizio. Attività, condotta di vita e criteri di giudizio nella tradizione ebraica erano identificati con alcune parti del corpo: le mani (l’attività), i piedi (la condotta) e gli occhi (la capacità di giudizio). Ecco perché Gesù nel Vangelo usa questa triplice similitudine, invitandoci (anche con immagini forti) a “tagliare di netto” con stili di vita che, in ciò che facciamo, nella condotta che abbiamo e soprattutto nei giudizi che diamo, corrano il rischio di dare “scandalo ai piccoli”. Non pensiamo necessariamente o direttamente a tutti gli scandali che, dentro e fuori la Chiesa, sono avvenuti e avvengono nei confronti dei piccoli: certo, sono un dramma spaventoso.

Ma qui Gesù va ancor più a fondo, va al cuore del problema, va alla fonte di ciò che dà origine a ogni scandalo, ossia la pretesa di ribaltare il Vangelo: quella che, invece di metterci a servizio degli altri nella carità e nell’amore (“nel nome di Gesù”, appunto), ci porta a prendere il messaggio cristiano e a farne – in una terribile escalation di malvagità - motivo prima di identità, poi di appartenenza, poi di privilegio, poi di superiorità, e infine di dominio. L’esatto contrario del messaggio di Gesù. E non stiamo a preoccuparci di chi è fuori dalla Chiesa come se fosse il peggior nemico, perché – dice Gesù – “chi non è contro di noi è per noi”.

Concludo con una frase forte ma di straordinaria saggezza del mio vecchio parroco (Dio l’abbia in gloria), che a pochi giorni dalla mia ordinazione sacerdotale mi disse: “Ricordati che le difficoltà, gli attacchi, e i problemi più grossi, una comunità cristiana non li avrà dalle persone che sono al di fuori della Chiesa, ma da quelle che sono dentro, e che ci passano tanto tempo, a partire da noi che abbiamo consacrato la nostra vita al Signore”.

E come dargli torto, con il Vangelo che abbiamo appena ascoltato?