PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 16 settembre 2018 - XXIV Domenica T. Ordinario - B

1ª lettura: Is 50,5-9a

2ª lettura: Gc 2,14-18

Vangelo: Mc 8,27-35

 

Meno nervosismi con Dio, per cortesia…

 

Avete mai provato a calcolare, nell’arco di una giornata, quante sono le ore in cui agiamo in maniera nervosa e rabbiosa, o quantomeno ci irritiamo per qualcosa e di conseguenza siamo poco “gentili” nei confronti degli altri? Io, è meglio che non ci provi neppure…troverei forse qualche manciata di minuti “pacifici” nella mia giornata! È vero, poi, che dipende da carattere a carattere, e in questo, ovviamente, non siamo tutti uguali: ma è pur vero che nessuno di noi si può dire totalmente scevro da arrabbiature e nervosismi, non foss’altro per le cose che gli capitano o per colpa degli atteggiamenti di altri nei suoi confronti. Ci si arrabbia, nell’arco di una giornata, ci si arrabbia davvero tanto, e ce la si prende con tutti: con il coniuge e i figli, con i colleghi di lavoro, con gli automobilisti o i ciclisti indisciplinati, con i politici in tv, con la squadra del cuore che perde  gioca male, con il cane dei vicini che abbia giorno e notte, con le forze dell’ordine quando ci multano, e via discorrendo…

Sì, anche con Dio…eccome se ce la prendiamo anche con Dio! Non mi riferisco solamente al rozzo e ignorante vizio della bestemmia da bar, da cantiere o da strada: penso anche a tutte quelle volte in cui ce la prendiamo con Dio perché non ci piace quello che fa, soprattutto perché non coincide con quello che vorremmo noi, con quello che noi vorremmo facesse per noi, o con l’idea che noi ci siamo fatti di lui.

Quel giorno, nei pressi dei villaggi intorno a Cesarea di Filippo, pare che ci siano stati diversi momenti di nervosismo all’interno del gruppo dei discepoli di Gesù, e certamente neppure lui ne è stato esente, anzi: per ben due volte l’evangelista Marco parla di atteggiamenti severi e poco concilianti del Maestro. La prima volta “ordina severamente” ai discepoli di non riferire a nessuno la risposta data da Pietro alla sua domanda: “Voi, chi dite che io sia?”. Il termine usato da Marco per descrivere la severità di Gesù è un termine forte: richiama il rimprovero, lo “sgridare” qualcuno, ed è lo stesso termine che viene usato nel secondo vangelo quando Gesù “sgrida”, “ordina” ai demoni di andarsene, di stare lontano da lui e dalle persone. E sì che Pietro non è che avesse detto una bestialità o una cosa grave, almeno all’apparenza: piuttosto delle risposte della gente, la quale aveva un’idea fortemente confusa riguardo alla figura di Gesù (un profeta…Giovanni Battista redivivo…Elia tornato sulla terra…), Pietro può almeno vantare di aver dato una risposta che a noi suona come una professione di fede, un’affermazione dottrinale certa: “Tu sei il Cristo”. Lo stesso brano in Matteo, narra come conseguenza l’esaltazione di Pietro da parte di Gesù, che non esita ad affidare a lui il primato sui discepoli e sulla Chiesa; qui invece scatta il rimprovero di Gesù, non rivolto direttamente a Pietro ma più genericamente ai suoi discepoli. Perché questa risposta così nervosa, arrabbiata, da parte di Gesù? Solo per rispondere all’esigenza del “segreto messianico” che contraddistingue le pagine del Vangelo di Marco?

Non credo, c’è qualcosa di più profondo. E lo si evince dal secondo atteggiamento severo e per nulla misericordioso di Gesù di quella giornata, questa volta, sì, diretto a Pietro, in faccia a lui, potremmo dire, e con modalità e terminologie che fanno rabbrividire, perché tipiche di un esorcismo: “Va’ dietro a me, Satana! Perchè tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Che cosa aveva detto di così terribile Pietro, da meritarsi il peggiore degli appellativi che un uomo di fede possa sentirsi dire, “Satana”? Che a Gesù non fosse piaciuto che Pietro lo avesse definito “il Cristo” di fronte a tutti, si era capito: ma perché mai deve definirlo “avversario” di Dio, quando non ha fatto altro che proclamare una professione di fede in lui? In realtà, non tutte le cose che con fede diciamo di Dio e su Dio corrispondono al suo disegno, al suo piano di salvezza, alla sua volontà. E Gesù si era affrettato a chiarire questa cosa, spiegando a Pietro e a tutti i discepoli che egli non era “il Cristo” nel senso “messianico” che essi e tutta la gente avevano in mente, ossia un leader politico, un condottiero, il liberatore venuto finalmente a restaurare il Regno d’Israele a scapito dello strapotere dell’Impero Romano.

No, niente di tutto questo: e siccome Gesù sa bene come la pensano i discepoli, se la prende con loro e li sgrida, e approfitta di questo momento di tensione per dire loro con chiarezza e apertamente in che senso essi debbano intendere Gesù come “Messia”: come “Figlio dell’uomo”, figlio dell’umanità sofferente che non fugge di fronte al dolore ma si abbandona in Dio (proprio come il Servo di Jahvè della prima lettura, cantato da Isaia), e che in questa sua condivisione con le sorti sofferenti dell’umanità e nel conseguente e necessario abbandono in Dio trova e dona la salvezza, una salvezza talmente potente che è capace addirittura di sconfiggere la morte. Senza, tuttavia, rifiutare di passarvi attraverso, di affrontarla nel peggiore dei modi.

Ecco allora la rabbia di Pietro nei confronti di un Dio che a lui, così, non piace. Un Dio debole, sofferente e mortale, a Pietro (e certamente anche agli altri discepoli) non va proprio giù, per cui cerca di “distogliere” Gesù dal suo intento di andare verso Gerusalemme, tirandolo in disparte dal suo cammino e tirandogliene dietro di santa ragione… Beh, il Maestro mica sta zitto, di fronte a un discepolo che pretende di essere più illuminato e più importante di lui e dello stesso Padre che lo ha inviato: e allora, oltre a definirlo “satana”, “avversario di Dio”, lo invita a tornare al suo posto, dietro di lui, da buon seguace.

Dietro di lui? E a fare cosa? Gesù non poteva essere più assertivo e più schietto di così: “Vuoi venire dietro di me? Solleva anche tu la tua croce – già da sempre pronta per te, come per tutti – butta via il tuo modo di pensare su me e su Dio, rinnegando i tuoi pensieri, e vienimi dietro, fino al Calvario. È l’unico modo per avere salva la tua vita e quella dell’umanità. Se invece giochi al risparmio, se vuoi evitare di soffrire, e se addirittura ti permetti di rimproverare Dio perché non la pensa come te e non fa nulla per evitare la sofferenza e la morte, hai perso”.

Sarà il caso di smetterla di prendercela con Dio, e di far arrabbiare il Maestro: calmiamo gli animi e riprendiamo il cammino!