PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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Martedì 25 dicembre 2018 - Natale del Signore – Messa della Notte

1ª lettura: Is 9,1-6

2ª lettura: Tt 2,11-14

Vangelo: Lc 2,1-14

 

E invece Dio…

 

 

Molte cose, nell’Antico Testamento, mandavano Dio su tutte le furie. Pensiamo, ad esempio, alle molte infedeltà del popolo d’Israele nel deserto, prima di entrare nella Terra Promessa: una su tutte, Dio scambiato per un vitello d’oro. Ma se c’era una cosa che Dio proprio non sopportava, erano i censimenti: o meglio, non sopportava che fossero gli uomini a censire gli uomini. Secondo la Legge di Mosè, era Dio che stabiliva quando fare il censimento della popolazione, e in base a quello, ogni famiglia censita doveva pagare un tributo al Signore (un’offerta, un olocausto o un sacrificio) a seconda del numero dei componenti di una famiglia. Il censimento, quindi, era una cosa sacra, attribuibile solamente a Dio: e chiunque avesse provato a farne uno senza essere stato ispirato da Dio, avrebbe pagato con la vita. Ne sa qualcosa il re Davide, che a conseguenza di un censimento fatto per sapere quanti erano i suoi sudditi, deve subire il castigo di Dio. Un castigo talmente cinico, che il Signore gli dà la drammatica possibilità di scegliere fra tre opzioni: tre anni di carestia, tre mesi di assedio da parte dei nemici, oppure tre giorni di peste in Israele. E Davide, ansioso di placare presto l’ira di Dio, sceglie la peste, con la conseguente morte di oltre settantamila ebrei. Da quel giorno, tutti in Israele capirono che non era il caso di mettersi contro Dio facendo una cosa a lui riservata com’era il censimento. E ogni volta che qualche governante ci provava, il terrore invadeva il popolo d’Israele.

Chissà cos’avranno pensato, in Israele, quando l’imperatore Cesare Ottaviano Augusto ordinò il censimento di tutta la terra, vale a dire di tutti i territori dell’Impero. Del resto, essendo “augusto”, ovvero figlio delle divinità, a lui era consentito anche il censimento di tutta la terra, che altro non era se non lo strumento più adatto per imporre tributi e quindi mantenere una sudditanza economica e fiscale. Ad ogni modo, sia pur impauriti dalle conseguenze di un gesto di quel tipo, tutti gli israeliti si mossero per essere censiti nella loro città d’origine. Va detto che gestire il censimento nella provincia di Palestina non era, per l’Impero Romano, la cosa più semplice di questo mondo. E non tanto per il fatto che Dio se la sarebbe presa (quelle erano cose di religione a cui i romani badavano poco, perché le ritenevano frutto di superstizione), quanto per il fatto che a prendersela erano soprattutto alcuni gruppi rivoluzionari armati, il più famoso dei quali era quello degli zeloti: guidati da sedicenti Messia, mettevano in atto tutta una serie di azioni dimostrative per avvisare i romani che a loro non andava giù di essere comandati dagli uomini, perché la loro speranza era legata appunto all’arrivo del Messia di Dio che avrebbe vendicato tutti gli abomini presenti sulla faccia della terra. Gruppi come gli zeloti erano formati da un’accozzaglia di gente veramente deplorevole: avanzi di galera, assassini, ladri, lestofanti, reclutati soprattutto tra le bande di pastori che affollavano la Palestina. I pastori non erano certo le figure bucoliche e amorevoli che vediamo nei nostri presepi inginocchiarsi davanti a Gesù Bambino con un agnellino in mano e suonando la zampogna, bensì disadattati sociali costretti a vivere in mezzo agli animali e che, secondo la tradizione ebraica, avrebbero dovuto attendere da un momento all’altro la venuta del Messia. Con loro e con un’altra categoria di delinquenti (i pubblicani) il Messia non avrebbe usato mezzi termini: li avrebbe immediatamente espulsi dal nuovo Regno che egli veniva a inaugurare.

Possiamo allora immaginare lo sgomento di questi disadattati quando si vedono arrivare, di notte, nei loro accampamenti, dei personaggi misteriosi che invece di annunciare loro l’imminente castigo del Messia, li invitano a “non avere paura”, perché sì, il Messia è arrivato, ma… non pare proprio essere un vendicatore violento. Anzi, è di una fragilità e di una debolezza disarmante, perché è un Messia bambino. E per di più non è nato nella citta santa, Gerusalemme, come si addice a un re, ma a Betlemme, a pochi passi dai loro recinti, per cui – se non credono all’annuncio - possono verificarlo di persona, facendogli visita, e al più presto.

Ma dai… che Messia è mai questo? Lo sanno tutti beni in Israele cosa voglia dire essere un Messia, e questo bambino, proprio, non ha nessuna di queste caratteristiche.

Il Messia, se è davvero l’inviato del Dio d’Israele, non può tollerare un censimento fatto da mani d’uomo, foss’anche il più potente imperatore della terra! E lui, invece, non solo tollera il censimento, ma si fa censire pure lui, con la sua famiglia, sottomettendosi ai voleri e alla caducità della storia: come quando, di fronte alle tragedie dell’umanità, Dio non dice nulla e lascia che la storia faccia il suo corso.

Il Messia, se è davvero l’inviato del Dio d’Israele, deve sbarazzarsi delle categorie inutili e dannose, a partire dai pubblicani e dai pastori, che sono la feccia inutile della società. E lui, invece, non solo li tollera, ma quando sarà adulto, si farà amico di molti pubblicani (a Gerico addirittura convertirà il loro capo, Zaccheo, alloggiando a casa sua), e scriverà una delle più belle pagine di Vangelo dicendo di se stesso “Io sono il buon pastore”: come quando, invece di eliminare dalla società gli emarginati che ci danno tanto fastidio e che creano insicurezza nelle nostre città, Dio ci chiede di accoglierli, integrarli, e aiutarli a ricostruirsi una vita.

 Il Messia, se è davvero l’inviato del Dio d’Israele, fa in modo di nascere a Gerusalemme, la città in cui Davide esercitava il comando, da dove, una volta per tutte, potrà instaurare il suo regno. E lui, invece, non solo va a Gerusalemme quattro sole volte in tutta la sua vita (la prima volta si perde, l’ultima gli sarà fatale), ma sceglie di nascere a Betlemme, che è comunque la città di Davide, ma del Davide pastore, del Davide ragazzino sconosciuto che viveva nel più totale anonimato: come quando a noi capita di incontrare Dio laddove non ci aspetteremmo mai di farlo, in situazioni o persone che nemmeno conosciamo.

E devo confessarvi che quest’ultima cosa mi è capitata proprio l’altra sera, domenica, quasi al termine di una giornata faticosa, impegnativa, come ultimamente si ritrovano ad essere molte delle mie giornate - non ho paura ad ammetterlo - e chi vive vicino a me sa delle mie fatiche e del mio disincanto, anche nei confronti di un Dio che pure io, come molti di voi, spesso fatico a sentire vicino…

Ebbene, la mia domenica si avviava alla conclusione con la messa vespertina delle ore 18, che non vedevo l’ora di portare a termine, stanco, demotivato, e con una serata davanti che si prospettava ancora lunga. Quando finalmente termina il canto finale e auguro a tutti, come mio solito, una buona serata, un bambino di 4 o 5 anni, correndo su per i gradini dell’altare, viene da me e mi porta un cioccolatino, dicendomi “Buon Natale!”. A me viene spontaneo rispondergli: “Ma grazie, cucciolo! E questo cioccolatino, è proprio per me? Ma come mai?”. “Perché sei venuto l’altro giorno a mangiare alla scuola materna!”, è stata la sua candida risposta…

Se questo non è incontrare Dio, sfido voi a dirmi dove altrimenti lo posso trovare, e ci vado di corsa!

 

 

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