PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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Domenica 30 dicembre 2018 - Santa Famiglia di Nazareth - C

1ª lettura: 1 Sam 1,20-22.24-28                                                             

2ª lettura: 1 Gv 3,1-2.21-24

Vangelo: Lc 2,41-52

Cari adolescenti, Gesù è come voi!

 

Alla tua età, andavo con il nonno in cantiere, e per essere a Milano alle 8, partivamo di qua alle 5.30, perché l’autostrada, fino a Agrate, era a due corsie!”;

“Se hai intenzione di andare avanti a studiare, allora ti metti d’impegno, altrimenti quest’estate vai a lavorare come tutti gli altri, perché io non ho nessuna intenzione di sprecare soldi ed energie per il niente!”;

“La pianti di far arrabbiare il papà, che ha già mille problemi in testa per il lavoro e per di più deve fare degli esami perché non sta bene? Fallo ammalare che vedi, te! Se ti diciamo che si torna entro l’una, si torna entro l’una! E poi si lascia acceso il cellulare: solo a te si scarica la batteria!”;

“Finché sei maggiorenne, anzi, finché sei in casa con noi, fai quello che ti diciamo noi: dopo farai le tue scelte! Per cui, domani è Natale e a messa ci andiamo tutti insieme. Chiuso il discorso!”;

“In casa ci sono delle regole da rispettare: questo non è un albergo, né tanto meno un porcile, per cui subito a riordinare la stanza, e senza fiatare!”;

“Quante volte te lo devo dire che quando c’è casino in giro bisogna stare tutti insieme? Pensa se ti perdi, che poi non ti troviamo più! Perché se ne sentono poche, con quello che c’è in giro oggi!”.

In occasione della giornata dedicata al ricordo della Santa Famiglia di Nazareth, sono simpaticamente andato, facendo mente locale, alla ricerca di alcune delle frasi più comuni rivolte dai genitori ai figli adolescenti, perché questo credo fosse l’ambiente familiare che si stava vivendo in quei giorni tra Nazareth e Gerusalemme, a casa di Giuseppe il falegname. Faccio due premesse, che mi paiono doverose.

Innanzitutto, come sempre avviene quando si traduce dalla lingua originale in cui viene scritto un testo alla nostra lingua corrente, anche in questo racconto di Gesù adolescente che si perde a Gerusalemme, il testo greco di Luca ci dà alcune pennellate che ci fanno capire che non si risolse tutto in maniera così “pacifica” e benevola tra Maria e Giuseppe da una parte e il loro divin figliolo dall’altra. Non è il caso di dilungarsi nell’analisi, ma sono evidentissimi i segni di disappunto, per non dire di arrabbiatura, di Maria nei confronti di Gesù; e parimenti, le risposte di Gesù a sua madre sono proprio rispostacce. Niente di eclatante o di scandaloso, per carità: però colpisce che le uniche parole che Maria rivolge a Gesù in tutto il vangelo di Luca siano una ramanzina, alla quale Gesù risponde senza peli sulla lingua.

Seconda doverosa premessa: non c’è alcun dubbio che la famiglia di Nazareth fosse santa (beh, basta vedere i tre componenti…), ma ciò non significa che fosse del tutto “regolare”, ossia secondo i canoni della famiglia “da Mulino Bianco” che abbiamo nell’immaginario collettivo. Già staremmo parlando, giusto per essere molto attuali, di una famiglia di profughi palestinesi che non riesce a far nascere il figlio in un luogo igienicamente adatto, e fa partorire la moglie dove capita, con tutti i rischi del caso. Ma quello è il meno, può anche capitare che ci si trovi in giro proprio in quei giorni. C’è dell’altro. C’è, infatti, un padre che, di fatto, non è un padre, ma questo lo sappiamo solo noi cristiani ora che abbiamo in mano tutto il Vangelo; tra l’altro, è un uomo buono e giusto, da quanto emerge, che non dice mai una parola e che fa le cose perché se le sogna di notte, e alla fine esce di scena all’improvviso, senza che si sappia più nulla di lui. Un uomo che ha avuto comunque il merito di salvare la sua promessa sposa dalla lapidazione per adulterio, visto che – e qui parliamo della mamma – era rimasta incinta prima del matrimonio senza che lui ne fosse responsabile. E se, grazie al gesto straordinario di Giuseppe, di fronte agli occhi di tutti i compaesani dovettero apparire non come una coppia infedele, ma come una coppia scandalosa che prima ancora del matrimonio era già in attesa di un figlio, sta di fatto che questa povera ragazza - che sapeva bene tutto ciò che era avvenuto nella sua vita per l’intervento di Dio - dovette subire un bel po’ d’ingiurie per il resto dei suoi giorni, poiché suo figlio veniva continuamente definito dai suoi compaesani (e non senza cattiveria) “il figlio di Maria”, e quello stesso figlio non è che fosse più di tanto morbido con sua madre. Non la chiama mai “mamma” o quantomeno “Maria”, ma “donna” (e ripeto, lo sappiamo noi, oggi, cosa questo significhi, ma non lei che si sentiva trattata così); quando lo manda a chiamare mentre sta predicando, anche solo per un saluto, risponde a tutti dicendo: “Mia madre? Chi è poi mia madre?”; l’episodio di oggi lo vedremo in seguito; e tutto questo, è coronato dalla peggior sofferenza cui una madre possa essere sottoposta, ossia vedere il figlio condannato a morte come un delinquente infame nonostante la sua evidente innocenza.

Del figlio, poi, meglio non parlare, perché comunque c’è una natura divina di mezzo, oltre a quella umana, che ci impedisce di bollare come anomali i suoi comportamenti: di certo, però, non si scappa da casa di punto in bianco a trent’anni con una madre vedova a carico, né tantomeno si fanno delle “fuitine” come quella che oggi, a duemila anni distanza, siamo qui a contemplare come un mistero gioioso del Rosario…

Fatte queste premesse, non vedo una grande differenza tra le frasi che abbiamo citato prima, con l’attuale contesto sociale-affettivo-psicologico nel quale vengono pronunciate, e la vicenda accaduta in quei giorni a Gerusalemme. C’è l’annosa, irrisolta questione, dello scarto generazionale: ovvero, della frattura tra una generazione passata che vede i valori ricevuti come fondanti e non negoziabili, e una generazione futura che sente giustamente la spinta verso l’autonomia, verso altri valori, verso scelte di vite non comprensibili da chi vive fermo all’epoca “dei nostri padri”. Mi spiace per la mia generazione, che è quella “dei nostri padri”, ma oggi Gesù adolescente dà ragione e prende le difese dei suoi coetanei. Infatti, pur dovendo dire grazie a mamma e papà per quello che fanno e per quanto soffrono angosciati per lui, oggi ha il sacrosanto diritto di dire loro (e di farlo come farebbe un adolescente di oggi, cioè “Mamma, papà…su di dosso!”) che ha un'altra voce da ascoltare che gli parla dentro, ed è quella “di suo Padre”, quello del Cielo, che gli chiede di fare la sua volontà, quella che lo Spirito gli ha infuso nel cuore.

Gesù prende le vostre difese, cari adolescenti, è dalla vostra parte, oggi: è d’accordo con voi che dobbiate farvi la vostra vita e le vostre scelte. A una condizione, però: che facciate come lui, ciò che “vi occupiate delle cose del Padre vostro”, ovvero che ascoltiate la voce dello Spirito che vi parla dentro, e non le voci esterne, false e illusorie, che vi attirano verso promesse che poi non manterranno mai. Costruitevi una vita autonoma e libera ma degna di essere chiamata vita, e allora anche mamma e papà smetteranno di rimproverarvi, o di “rompervi” (come amate dire voi) e, pur non comprendendo mai appieno tutto quanto, “custodiranno queste cose nel loro cuore”.

Anche perché hanno una famiglia in Cielo identica alla loro che intercede per voi tutti.

 

 

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