PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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Domenica 13 gennaio 2019 - Battesimo del Signore - C

1ª lettura: Is 40,1-5.9-11

2ª lettura: Tt 2,11-14; 3,4-7

Vangelo: Lc 3,15-16.21-22

 

Apriti, cielo!

 

Non piove da parecchie settimane, ormai, qui al Nord: e si sente. Mai come in queste situazioni si comprende l’importanza dall’acqua e delle precipitazioni in generale. Se è vero – com’è vero – che quando piove per parecchio tempo soffriamo per i disagi dovuti all’eccesso di “oro blu”, è altrettanto vero che quando quest’oro scarseggia ci sentiamo e siamo realmente meno ricchi. Potremo forse rallegrarci per il sole splendente o per il cielo terso, come quello dei giorni passati, ma poi è sufficiente passare la scopa sulla terrazza o lo straccio sulle ringhiere annerite, chiudere la portiera dell’auto prendendo la scossa o starnutire venti volte in un’ora per accorgerci quanto un clima secco sia nocivo, e quanto ci sia bisogno di acqua per i campi, per la salute, per le riserve acquifere, per ripulire l’aria dalle polveri inquinanti e magari anche per riuscire a divertirci un po’ di più quando andiamo in montagna per una gita sulla neve, divenuta per noi un fantasma, e oltre la barriera delle Alpi, un incubo.

Anche per noi sta diventando un incubo, quello dei cieli che rimangono chiusi, sigillati, senza più far cadere neppure una goccia dal rubinetto in perdita delle nuvole, divenute anch’esse merce rara. I cieli chiusi, tra l’altro, sono divenuti, nella Storia della Salvezza, nella tradizione biblica, il simbolo di una cessata comunicazione tra Dio e l’uomo, i quali, per via dei cieli chiusi, non riescono più a parlarsi, ad ascoltarsi, a guardarsi negli occhi.

Certo, dopo il dramma del Diluvio Universale Dio fu costretto a chiudere i cieli in segno di rinnovata alleanza con l’umanità, distrutta dalle acque “di sopra e di sotto”, dei cieli e dei mari, e desiderosa di trovare la strada per raggiungere Dio, forse percorrendo quell’arco tra cielo e terra che aveva sigillato il nuovo patto dell’alleanza tra Dio e l’umanità. Poi però a Dio è sfuggito il controllo della situazione, a quanto pare, perché più volte i profeti hanno dovuto far rimbalzare a Dio il grido di un popolo che sentiva la necessità di cieli aperti da cui potesse cadere, come pioggia o come rugiada, la sua salvezza. “Stillate, cieli, dall'alto, e le nubi facciano piovere la giustizia”; “Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti”: sono solo alcune delle espressioni ascoltate a più riprese nel tempo di Avvento da poco concluso. Espressioni che chiedono a Dio di dimenticarsi della comodità di un firmamento dove lui, forse, si trova bene perché al sicuro e perché da là può più facilmente avere un sguardo che lo aiuti ad avere sottocchio i problemi dell’umanità, ma che per noi – se resta chiuso – di comodo ha ben poco, perché ci fa sentire tremendamente soli, abbandonati, lasciati a noi stessi e al nostro destino.

Il cielo chiuso sopra di noi lo sentiamo spesso come un macigno che incombe, come una spada di Damocle pronta a infilzarsi sulle nostre teste, una sorta di Grande Fratello che ci scruta ma che noi non riusciamo a scrutare, a squarciare, a penetrare per carpirne i misteri. E un Dio rifugiato nella beatitudine del suo cielo, all’umanità non serve. Sì, certo, non le dà fastidio, non dice nulla, forse le permette pure di comportarsi come vuole: ma a noi manca la possibilità di vedere i cieli aperti e Dio scendere in mezzo a noi a condividere con noi la polvere delle nostre strade, il fango del nostro quotidiano, il marcio della nostra esistenza. Anche perché se i cieli rimangono chiusi, alla fine moriamo, non solo perché ci manca l’acqua, ma perché un po’, di cielo, lo siamo fatti anche noi, e se il cielo non si apre, rischiamo di dimenticarci delle nostre origini. E diventiamo pura materia.

Oggi, però, sembra che Dio abbia voluto ascoltare le preghiere dell’umanità: e il cielo si apre. E nella speranza che presto lo faccia anche da un punto di vista meteorologico, oggi si apre per dirci che Dio non si è dimenticato dell’umanità, che Dio non si è rinchiuso nella comodità del firmamento, ma che ha a cuore l’uomo e le sue vicende, talmente a cuore che fa scendere sopra l’Uomo, il Figlio dell’Uomo, la più copiosa e abbondante delle piogge, quella dei doni del suo Santo Spirito.

E come se non bastasse, sopra quell’uomo che – l’ultima volta che aveva aperto i cieli sopra di lui – aveva cercato di eliminare dalla faccia della terra col diluvio, oggi fa scendere una voce, una Parola, che è quanto di meglio l’uomo si possa sentir dire dal suo Dio: “Tu sei il mio figlio amato”.

Mai un Dio si era spinto a tanto: dire all’uomo peccatore e ribelle “Sei il mio preferito”. Adesso che i cieli si sono aperti di nuovo, però, vediamo di non farli richiudere ancora su di noi: piuttosto, rubiamone un pezzo e diamolo a quell’umanità che non si è ancora accorta che i cieli, alla fine, si sono aperti…

 

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