PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

QUARESIMA 2018 - 1.o Incontro 20 febbraio 2018

De hominibus et de Deo – Degli uomini e di Dio
Verso la Pasqua con il Libro dei Giudici

 

Primo incontro di catechesi per adulti - Libro dei Giudici - Le strade degli uomini spesso differiscono dalle strade di Dio.
Il filmato è stato realizzato grazie al contributo della rete e può pertanto essere liberamente  sua volta da chiunque ne abbia bisogno.

 

 

Introduzione al Libro dei Giudici


Troviamo tre grandi divisioni, nel libro dei Giudici: 
1. I capitoli da 1,1 a 2,10 raccontano il periodo appena dopo la morte di Giosuè. 
2. Da 2,11 a tutto il capitolo 16, troviamo uno schema ciclico che si ripete tante volte: Israele cade nel peccato, viene “catechizzato” da Dio, si ravvede, e poi viene salvato da Dio tramite l’invio di Giudici. 
3. Infine, i capitoli da 17 a 21 sono quasi un'appendice, in cui sono raccontati alcuni avvenimenti che accaddero in questo periodo e che ci aiutano a capire la degradata condizione spirituale di Israele.

 

Il contesto storico

Per capire bene il libro dei Giudici, è necessario capire un po' il contesto storico in cui è ambientato. Ricordiamo innanzitutto che in Genesi 15, Dio aveva promesso ad Abramo di dare ai suoi discendenti la terra promessa, e aveva ripetuto questa promessa altre volte anche ai discendenti di Abramo. Rivelandosi a Mosè, Dio promise agli Israeliti, nel momento del loro ritorno dalla schiavitù d’Egitto, di dare loro vittoria sulle popolazioni che abitavano la terra promessa, ovvero le popolazioni di origine cananea (per intenderci, i discendenti degli antichi Fenici). Dopo la morte di Mosè, Dio guidò Israele a entrare nella terra promessa avendo Giosuè come capo. Appena entrarono nel paese, Dio diede loro una vittoria miracolosa a Gerico, dimostrando così che avrebbe dato loro vittoria anche sugli altri popoli nemici, e che quindi potevano tranquillamente sopravvivere anche solo per mezzo della fede in lui. Oltre a promettere di essere con loro, Dio aveva anche dato loro dei comandamenti. Uno di questi era che quando sarebbero entrati nella terra promessa, gli Israeliti avrebbero dovuto annientare totalmente le popolazioni che vi abitavano. Questo si vede bene nelle parole di Mosè all’interno di Deuteronomio: 
“Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te molte nazioni: gli Ittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Cananei, i Periziti, gli Evei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, quando il Signore, tuo Dio, le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro confronti non avrai pietà” (Dt 7,1-2).
Era assolutamente vietato agli Israeliti mischiarsi con i pagani che abitavano nella terra promessa prima di loro. Questo risponde a un principio che troviamo ripetutamente nella Bibbia: il popolo di Dio deve essere un popolo “santo”. La parola “santo” vuol dire “messo da parte”, “eletto”, “consacrato”: il popolo appartiene a Dio in modo esclusivo e totalizzante, ed esiste per la sua gloria, quindi non deve essere mischiato in alcun modo con ciò che santo non è. In altre parole, il popolo di Dio non deve legarsi minimamente con le popolazioni del mondo. Per questo, Dio comandò agli Israeliti che distruggessero completamente i non credenti: per evitare qualsiasi convivenza con loro. Dio spiegò chiaramente che se si fossero mischiati con i pagani, quei pagani avrebbero allontanato i loro figli da Dio, e per questo motivo, anziché ricevere benedizioni, avrebbero subito l'ira di Dio.
Alla morte di Mosè, Dio diede a Giosuè l'incarico di guidare Israele e lo rese vittorioso agli occhi degli Israeliti, rendendo chiaro che era degno della loro fede e della loro sottomissione. Sotto la guida di Giosuè, la terra promessa fu divisa fra le dodici tribù. I Giudei iniziarono a prendere possesso della terra, ma non sempre furono pronti a combattere fino allo sterminio i popoli pagani, come Dio aveva comandato. Piuttosto, preferirono la via più facile: vincevano qualche battaglia, prendevano possesso di un po' di terra, e poi, si riposavano, lasciando i pagani in vita. Facendo così, non stavano obbedendo alla logica di Dio, e le conseguenze di questa disobbedienza si avvertirono per secoli.
Al tempo della morte di Giosuè, gli Israeliti dovevano ancora conquistare molta parte della terra promessa: è qui che inizia la narrazione del libro dei Giudici, che continua fino a poco prima dell'istituzione del primo re d’Israele, Saul. Ci troviamo di fronte al periodo forse per noi più oscuro di tutta la storia ebraica. Possiamo paragonarlo al nostro Medioevo, anche se non mancano elementi di fecondità e di vivacità:

  • In ambito religioso, l’accettazione da parte di tutti della Rivelazione Sinaitica (la Torah) e quindi il raggiungimento dell’unità di fede.
  • In ambito culturale, il passaggio da una civiltà seminomade a una di tipo stanziale. 
  • In ambito sociale, la creazione di nuove strutture, a livello di paese, di regione (le singole tribù), e a tratti anche a livello interregionale (quando le tribù si coalizzavano per fronteggiare un pericolo comune).
  • In ambito politico, il lungo travaglio che avrebbe poi portato alla formazione della monarchia.

Se quindi in questo periodo c’è stata una crisi, questa era una crisi “adolescenziale”, cioè legata alla crescita della coscienza di popolo. L’oscurità riguarda la nostra impossibilità a vedere chiaro in tutte le vicende di questo tempo, per via di fatti storici concreti che non riusciamo bene a incasellare:

  1. Non conosciamo bene l’estensione cronologica di questo periodo: se è chiaro il suo termine (la costituzione della monarchia con Saul verso il 1020 a.C.), non altrettanto chiaro è il suo inizio, data la natura composita, complessa e lenta, dell’insediamento nel territorio di Canaan corrispondente al tempo di Giosuè (forse il 1300 a.C.?).
  2. In secondo luogo, non si hanno dati precisi coi quali identificare l’inizio e la fine delle varie fasi di questa crisi (culturale, sociale, religiosa, politica, ecc..).

Di certo, le varie tribù hanno dovuto consolidare il possesso definitivo dei rispettivi territori, acquisiti attraverso un’occupazione pacifica o con la forza delle armi, ma alla fine ha prevalso su di loro una tendenza di carattere comunitario, per cui li troviamo religiosamente e politicamente uniti per almeno tre fattori:

  1. Il sentimento di una stessa appartenenza etnica e dunque di una medesima origine che si esprime anche in termini di parentela;
  2. La partecipazione all’unica fede in Jaweh comunicata gradualmente dal gruppo di Giosuè agli altri gruppi;
  3. La necessità di far fronte comune contro avversari esterni. Il pericolo filisteo è stata una delle molle principali che avrebbe poi portato gli Ebrei a darsi un regno.

Nel frattempo, la nuova vita instaurata in piccole comunità locali, ha portato alla costituzione di un regime “municipale”, dove le varie famiglie o clan erano rappresentate da un collegio di notabili e di anziani (i Giudici, appunto) aventi il compito di amministrare e di giudicare. Ogni città si regge da sé, ha la sua giustizia per gli affari interni, ha la propria polizia in caso di necessità. Il consiglio degli anziani delle principali famiglie tiene le sedute amministrative e giudiziarie “alla porta della città”, cosa che acquisterà un significato simbolico. 
Il libro dei Giudici, tuttavia, ci porta a pensare a un’organizzazione probabilmente più complessa, a livello di tribù, con elementi che però non sono omogenei: troviamo, infatti, una lista di “giudici maggiori” (Barack, Debora, Gedeone, Iefte, Abimelec, Sansone) dei quali si narrano le gesta con sufficiente ampiezza, e una lista di “giudici minori” quasi appena nominati ma dei quali si afferma che “hanno giudicato” per un buon numero di anni. 
Chi erano, quindi, i Giudici? E com’erano organizzati? Erano veri o propri capi che si succedevano con un’elezione o con una intronizzazione? Oppure erano eroi sporadici che apparivano occasionalmente con le loro gesta a difendere le varie tribù d’Israele? È probabile che il libro dei Giudici sia stato costruito in base a una duplice tradizione orale, riguardante da una parte eroi liberatori occasionali e dall’altra giudici che avevano esercitato una funzione direttiva nelle varie città, per cui possiamo concludere che in quell’epoca ci fosse veramente un’autorità di governo, chiamata “Giudice”. Se si considera la lista dei giudici maggiori, i loro periodi di governo presentano grandi vuoti, nei quali le tribù hanno sperimentato forti momenti di oppressione da parte dei nemici; se si considera la lista dei giudici minori, assistiamo a una successione continua, forse opera di un redattore preoccupato di mostrare che quel piccolo popolo nascente non era un popolo allo sbaraglio, ma stava cercando di darsi un’organizzazione.  Si può dunque concludere che le tribù conducevano un’esistenza indipendente: “In quel tempo non c'era un re in Israele; ognuno faceva come gli sembrava bene” (cfr. Gdc. 17,6; 18,1; 19,1; 21,25). In caso di pericolo comune, alcuni gruppi si coalizzavano e si prendevano un capo, un giudice. Passato il pericolo, ognuno riprendeva la propria autonomia.

 

Denominazione del libro

Il libro dei Giudici copre un arco di storia di circa duecentocinquant’anni che va dal XIII secolo a.C. al 1030 a.C., data d'inizio della monarchia. Lasciate alle spalle le gloriose epopee della conquista della terra promessa con Giosuè, inizia l'esistenza di Israele nella terra di Canaan, circondata da nemici esterni e interni di ogni genere. La conquista non era stata definitiva, come detto, e le popolazioni indigene cananee attendevano da un momento all’altro l’attimo opportuno per prendersi la rivincita. Per questo, le singole tribù d'Israele elessero, spesso indipendentemente l'una dall'altra, dei capi detti “Giudici” (Shoftim, שֹׁפְטִים), i quali riunivano in sé il potere politico, militare e giudiziario (da cui il nome). 

 

Struttura del libro

Il libro si presenta piuttosto eterogeneo, come un insieme di racconti antichi e di rielaborazioni più tardive, di episodi storici fedelmente tramandati e di ricostruzioni mitologiche, di prosa essenziale e di stupendi passaggi poetici. L'introduzione è duplice: una storico-geografica e una di tipo dottrinale, cui segue una lunga serie di umiliazioni subite dal popolo d'Israele nei decenni durante i quali Israele non è ancora una nazione, ma solo una federazione di tribù, spesso in aspra contesa tra di loro. L'autore dà una spiegazione religiosa agli insuccessi degli Israeliti: è l'infedeltà a Dio che provoca l'abbandono di Israele nelle mani dei nemici. 
È proprio in questi momenti di crisi che sorgono figure carismatiche, destinate a far fronte agli assalti dei nemici, dando compattezza ai vari clan e tribù. Il libro presenta tredici di queste figure, di cui (per l'ampiezza della trattazione delle loro gesta) cinque sono definite “giudici maggiori”, e otto “giudici minori. Se si conta anche Barack, braccio armato di Debora, il numero totale arriva alla cifra simbolica di quattordici (il numero del re Davide). Naturalmente, le figure ricordate nel libro non esauriscono la lista di tutte le figure storiche che giudicarono le tribù tra il XIII e l'XI secolo a.C.; l'autore riporta solo i principali, o quelli di cui ha avuto notizie, cercando così di colmare il vuoto esistente tra Giosuè e la vicenda di Samuele e Saul. 

Giudici Maggiori

  • Debora/Barack
  • Gedeone
  • Abimelec
  • Iefte
  • Sansone

Giudici Minori

  • Otniel 
  • Eud 
  • Samgar
  • Tola
  • Iair
  • Ibsan
  • Elon
  • Abdon

 
A questa lista, andranno aggiunti Eli e i suoi figli, citati nel Primo libro di Samuele, il quale è una figura intermedia tra il giudice e il profeta. Nei prossimi incontri vedremo i cinque Giudici Maggiori.

 

Preghiera  finale
Thomas Merton 

Credo che la vita 
secondo le mode correnti, 
ma un impegno a realizzare il progetto 
che Dio ha su ognuno di noi: 
un progetto di amore 
che trasforma la nostra esistenza. 
Dio fatto carne. In Lui ogni cosa 
- miserie, peccati, storia, speranza - 
assume nuova dimensione 
e significato. 
Credo che ogni uomo possa 
rinascere a una vita genuina e dignitosa 
in qualunque momento 
della sua esistenza. 
Compiendo sino in fondo 
non solo rendersi libero 
ma anche sconfiggere il male