PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

25 Dicembre 2017 - Natale del Signore

Natale del Signore                                                                                         

Lunedì 25 dicembre 2017

1ª lettura: Is 9,1-6 (n.); Is 62,11-12 (a.); Is 52,7-10 (g.)   

2ª lettura: Tt 2,11-14 (n.); Tt 3,4-7 (a.); Eb 1,1-6 (g.)

Vangelo: Lc 2,1-14 (n.); Lc 2,15-20 (a.); Gv 1,1-18 (g.)

 

 

Purché sia vita

 

C’è diversa gente, oggi, che farà fatica, a essere serena, rilassata e spensierata almeno il giorno di Natale. Molta gente vorrebbe trovare, sotto l’albero, più che il regalo affettuoso di un familiare o di un amico, un biglietto che dica: “Troverai il posto di lavoro”, “Guarirai presto”, “Arriverai tranquillo alla fine del mese”. Segnali di speranza, insomma, più che regali di circostanza…

Che bello sarebbe, se in nessuna famiglia, in questo Natale, ci fossero problemi!

Che bello sarebbe se tutti quanti avessero la certezza di poter fare progetti a lungo termine!

Che bello poter tappare la bocca a chi proclama guerra e violenza al mondo intero!

Che bello è stato, in anni recenti, sentirsi liberi di comprare regali di Natale a valanga senza pagare subito, provando l’ebbrezza di sentirci più ricchi di ciò che eravamo realmente…

            Chi lo sa, se sarà ancora così? Di certo, dovremmo essere tutti più onesti, e ammettere che non è giusto che sia avvenuto così. Dovremmo avere l’onestà e la forza di dire “Basta!” a noi stessi e ai nostri consumistici sistemi di vita, più che aspettare che siano le circostanze a farlo per noi.

            Ci siamo abituati talmente bene ad avere tutto quanto a portata di mano che siamo poco abituati a vedere i momenti di crisi come opportunità di crescita.

Se la crisi che pare ci stiamo lasciando alle spalle (visto che ormai nessuno più ne parla) ci avrà aiutato a essere un po’ più poveri, avremo l’opportunità di comprendere meglio l’atteggiamento dei poveri del Vangelo, di quelli che sono ancora capaci di lodare e glorificare Dio per un bambino che nasce, per la vita che, nonostante tutto, decide di “farsene un baffo” delle crisi e va avanti.

Forse possiamo capire meglio che cosa voglia dire che “si è manifestata la Grazia di Dio”, e che “il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”.

Quando l’uomo ha tutto ciò che vuole in maniera immediata, non sa più cosa vuol dire attendere e sperare la manifestazione della Grazia, della “gratuità” di Dio. Quando invece si sente svuotato di certezze, ha l’opportunità di rendersi conto quanto, in fondo, abbia sempre avuto bisogno di Dio, e spesso senza saperlo.

Per un mese scarso, l’Avvento ci ha parlato di Attesa e di Speranza. Due parole così uguali eppure così diverse…

Posso aspettare seduto alla pensilina che arrivi il pullman in un giorno di scioperi: ma se spero che arrivi, non resto certo seduto ad aspettarlo. Anche solo l’ansia di vederlo arrivare mi fa alzare in piedi e camminare nervosamente.

Se aspetto che il tempo cambi e cominci finalmente a piovere, mi chiudo in casa a guardare la televisione finché sento le prime gocce; se spero che cambi, mi alzo almeno due o tre volte a guardare la stazione meteorologica o – come si faceva una volta – a guardare dalla finestra della cucina verso occidente, sperando che arrivi qualche nuvola.

Se aspetto che mio figlio maturi, rimango passivo di fronte ai suoi atteggiamenti strani; se invece spero che maturi, mi do da fare per accelerare i tempi.

Se aspetto che Dio risolva i miei problemi, mi adagio comodamente su quelle due o tre certezze che la vita di fede ordinaria mi offre; se spero in lui, non posso certo contenere la forza che la sua Grazia sprigiona in me.

E allora mi rialzo. E comincio a camminare. E camminando mi accorgo che non sono solo, ma che sono parte di un popolo. E che se sono parte di un popolo, anche se cammino nelle tenebre, non ho paura, perché spero – anzi so – che insieme vedremo “una grande luce”.

E camminando mi sento più leggero, perché mi accorgo che “il giogo che opprimeva le mie spalle è stato spezzato, come ai tempi di Madian”.

E ci sono delle sentinelle, lungo il cammino, che “alzano la voce e gridano di gioia perché vedono il ritorno del Signore a Sion”.

È di queste sentinelle che abbiamo bisogno, lungo il cammino in questo tunnel oscuro: non di profeti di sventura, né di falsi maghi che promettono soluzioni facili e immediate.

Abbiamo fame di luce e sete di vita; non importa che sia più povera, purché sia vita. Non importa che sia inferma o attiva, deforme o prestante, sana o malata, giovane o anziana: purché sia vita!

Dio lo sa bene. Per questo, né soluzioni immediate né pensieri angoscianti: Dio ci regala un bambino, “ci è stato dato un figlio”. In questo Figlio, l’Attesa diventa Speranza. Con lui, ogni difficoltà fa meno paura. Per lui, siamo chiamati a giocarci la vita. E a credere che con lui la partita non è mai chiusa. Perché se l’umanità è ancora capace di generare è perché è viva.

Perché se anche quest’anno ci è stato dato un figlio, è segno che Dio non si è ancora stancato dell’umanità.