Sovvenire alle necessità materiali della Chiesa stessa, secondo le proprie possibilità.
Questo non significa che io non creda fermamente alla validità di questi insegnamenti, tutt’altro: anzi, a me sembrano anche un po’ riduttivi, un po’ poco per poterci dire cristiani (e credo che anche il Vangelo di oggi sia dalla mia parte).
Ma quello che non accetto è che si debbano vivere come precetti: le parole “dovere”, “obbligo”, “precetto”, “comando”, a mio modo di vedere non possono far parte di una scelta libera e voluta come quella della fede, come quella del rapporto con un Dio che ci ha lasciati liberi di fare qualsiasi cosa, con lui, sin dai nostri primi passi nell’Eden.
Sennonché, il Maestro oggi nel Vangelo ci dice che ci dà un “comandamento nuovo”, un nuovo precetto, un nuovo obbligo, un nuovo comando… Un comando? E “nuovo”, per di più? Come se non ci bastassero i dieci “comandi” imparati a memoria da tutti noi quando ci siamo preparati a fare la Prima Comunione? Ora un altro? Ora uno “nuovo”?
Eh, no…. Io che non tollero di vivere la fede come un insieme di comandamenti e di precetti, non so se riesco ad accettare un ulteriore, nuovo comandamento. Ci mancava anche che riguardasse la cosa più libera (e più bella proprio perché libera) che esista al mondo: l’amore. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”.
Sì, d’accordo, per carità: ci comanda quantomeno una cosa bella! Ma io non riesco ad accettare che mi venga comandato di amare: l’amore ha nella libertà, nella scelta e nella spontaneità le sue caratteristiche più belle! Come possiamo essere “obbligati ad amare”? Non che questo non esista, purtroppo: avete presente quegli amori “obbligati”? Non mi riferisco ai matrimoni combinati di medievale memoria, purtroppo ancora presenti in alcune culture, ma a quegli amori che vanno avanti perché “obbligati”, perché “ormai me lo tengo così”, perché “lo faccio per i figli”, perché “se non mi concedo, sono finita”, in genere vissuta dalla parte più debole, quella femminile, perché in fondo siamo ancora retaggio di un mondo maschilista, tremendamente maschilista.
Macché obbligati! Non si può essere obbligati ad amare, su! Come fa il Maestro a comandarci la cosa più bella e più libera del mondo, libera proprio perché bella e bella proprio perché libera? Eppure ci chiede di fare così, se vogliamo che tutti, nel mondo, capiscano che siamo suoi discepoli… Perché in fondo chi non crede (ma anche chi crede) deve capire che noi siamo cristiani non perché ci vede pregare, andare a messa, portare la croce o un rosario al collo o difendere la nostra identità e cultura cristiane dagli attacchi del mondo. Chi ci vede deve poter capire che siamo cristiani perché ci amiamo. Benissimo: allora, perché obbligarci a farlo?
Perché, in realtà, lui non ci obbliga ad amarci: ci ordina di farlo “come lui ci ha amati”. Eh, ciao…allora siamo a posto: chi mai riesce ad amare gli altri come ha fatto Gesù? Come possiamo amare gli altri con la stessa intensità con cui lui l’ha fatto, o nella stessa dimensione in cui lui l’ha fatto, andando a finire in croce per noi? Impossibile… Occorre trovare la chiave giusta per aprire questa porta dell’amore “comandato”, “obbligato”, “doveroso”.
Provo a vedere se questa chiave entra nella serratura del cuore. E la chiave è quella che trovo appesa al primo versetto del Vangelo di oggi: “Quando Giuda fu uscito dal cenacolo”. E se ricordiamo bene, Giuda esce dal cenacolo dopo che Gesù gli ha dato l’amaro boccone dell’ultima cena: e fuori era notte. Adesso che Giuda è uscito dal cenacolo, Gesù può farci capire cosa significa essere obbligati ad amarci “come lui ci ha amati”. Giuda - e noi con lui – ha dovuto uscire perché non l’avrebbe potuto capire; perché, in fondo, non amava il Maestro. O meglio, lo amava, sì: ma non come avrebbe dovuto. Lo amava perché aveva visto in lui il leader politico che avrebbe realizzato i suoi sogni, perché in fondo era lui, con i suoi interessi, a voler essere messo al primo posto, in questo rapporto d’amicizia e di amore con il Maestro. Quando invece capisce che è il Maestro a dover essere messo al primo posto, allora lo tradisce, perché non lo accetta. Così come noi tradiamo Gesù quando non accettiamo che sia lui al centro della nostra vita e che ci chieda di amarlo in maniera incondizionata e folle come lui ha fatto con noi, e di fare altrettanto tra di noi.
E la maniera incondizionata e folle è quella di mettersi al servizio degli altri, proprio come lui ha fatto, qualche minuto prima di queste parole, lavando i piedi ai discepoli, annientandosi umilmente di fronte a loro, negando simbolicamente a se stesso di essere messo al centro per farci comprendere che, per amare, al centro ci dev’essere l’altro, e non io il nostro “io”.
Ma perché, allora, questa cosa meravigliosa e libera che è l’amore deve essere un “comandamento”?
Di preciso, non lo so ancora bene, forse lo capiremo iniziando ad amare gli altri. Ma mi piace concludere riportando un dialogo che ho “origliato” tra due innamorati che stavano abbracciati sotto la finestra di un’abitazione nella quale mi trovavo in vacanza, un’estate, la stagione della libertà, quando escono dal cuore le cose più belle. Forse i due stavano vivendo un momento critico del loro rapporto. Uno di quei momenti che… “o sì o no”.
E allora lui dice a lei: “Ma perché amarci così? Io ti amo, e tanto: ma non possiamo continuare così! Mi sento quasi costretto, obbligato ad amarti!”. E lei: “Anche io sono obbligata ad amarti”.
“Come obbligata? Io non ti costringo affatto”.
“Lo so: ma non posso non amarti”.
“E perché non puoi non amarmi? Sentiamo!”.
“Semplice – risponde lei -. Perché mi sento amata da te. Tanto. E per questo, non posso non amarti”.