PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 21 luglio 2019 - XVI Domenica T. Ordinario - C

1ª lettura: Gen 18,1-10a.

2ª lettura: Col 1,24-28

Vangelo: Lc 10,38-42

 

A caccia di essenzialità

 

 

A partire dal XXV capitolo dei suoi “Promessi Sposi”, il Manzoni introduce un personaggio minore, la cui descrizione e le cui caratteristiche mi pare si addicano bene a una delle due sorelle di Betania di cui abbiamo sentito parlare nel brano di Vangelo, vale a dire Marta. Il personaggio in questione è Donna Prassede, vecchia gentildonna moglie di Don Ferrante, che non appena viene a sapere della presenza in paese della promessa sposa Lucia, costretta a nascondersi da don Rodrigo, fa di tutto per poterla ospitare nella propria casa. Di lei, il Manzoni dice che era “molto inclinata a far del bene, mestiere certamente il più degno che l'uomo possa esercitare; ma che purtroppo può guastare, come tutti gli altri". Il marito, Don Ferrante, era un erudito letterato, uomo colto e fine, amico di uomini potenti, che tuttavia si perdeva in un bicchier d’acqua. Egli pensava che tutti gli eventi sul mondo terreno fossero causati dall'influenza degli astri e, quando si scatena il contagio della peste, non vi crede, formulando strane antitesi astrologiche e soprattutto filosofiche. Alla fine, però, morirà proprio per questa causa, maledicendo le stelle… La moglie, Donna Prassede, dopo aver tentato di smuoverlo un po’ dal suo mondo per qualche tempo, si era rassegnata “a brontolare spesso contro di lui, a nominarlo uno schivafatiche, un uomo fisso nelle sue idee, un letterato; titolo nel quale, insieme con la stizza, c’entrava anche un po’ di compiacenza”.

Sbaglierò, e certamente la mia lettura è limitata e limitante, perché se Marta è venerata come santa e Donna Prassede no, significa che tra le due ci sono differenze sostanziali: ma mi piace vedere delle analogie tra le due figure, e non solo tra di esse, ma anche tra le varie figure di donne (e anche uomini!) generose, factotum, assillate dal fare il bene e di farlo bene, che la storia - quella universale ma ancor più quella locale - ha conosciuto. Di fronte a personaggi come Donna Prassede o come Marta di Betania, non possiamo non pensare a qualche nostra vecchia zia (possibilmente zitella) un po' brontolona e invadente, alla quale in fondo vogliamo bene perché ci ha cresciuti tutti, noi suoi nipoti, ma che sta bene là dov’è, a casa sua, lontano da noi, perché ci renderebbe la vita impossibile…

In realtà, Marta comprenderà bene la lezione del Signore, perché – anche se non smetterà di servire il Maestro a tavola fino a pochi giorni prima della sua morte, quando la sorella Maria sprecherà addosso a lui il corrispettivo in profumo di nardo di uno stipendio annuale di un operaio – pochi giorni prima, in occasione della morte del fratello Lazzaro, sarà la sua professione di fede in Gesù Resurrezione e Vita che permetterà al Maestro di resuscitare l’amico caro. E allora sì, che Marta imparerà pure lei di che cosa, solamente, c’è bisogno nella vita: aprire il nostro cuore a Dio, e non agli affanni quotidiani della vita. Perché quando Dio ci entra nel cuore, il resto avanza tutto; quando il Maestro entra in casa a Betania per stare con queste due sorelle e il fratello che egli amava tanto, l’unica cosa che conta è che lui sia lì; quando Dio irrompe nella nostra vita, per quanto siamo entusiasti di dimostrargli che gli vogliamo bene, in realtà è lui che è ansioso di dimostrare a noi quanto egli ci voglia bene. E questo lo capisce chi, come Maria, di fronte all’ospite importante ha un solo pensiero: quello di sfruttare ogni minimo istante per stare con lui.

Perché se quel giorno a Betania la tavola non fosse stata imbandita di ogni “ben di Dio”, non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Ma per comprendere questo, Marta ha dovuto faticare. E con lei, anche noi dobbiamo faticare, per comprendere che le cose che contano nella vita, e nella vita di Chiesa in particolare, non sono i dettagli nei quali ci perdiamo intestardendoci, ma sono quelle cose essenziali che rimangono mentre i dettagli, le emozioni, le sensazioni passano. E siccome spesso (come dice una frase famosa di un altrettanto famoso romanziere francese) “l’essenziale è invisibile agli occhi”, allora forse lo sforzo di andare in profondità per ritrovare l’essenziale è davvero uno sforzo importante. E sempre attuale.

Perché la Marta del Vangelo di oggi, e con lei le mille “Donna Prassede” della storia dell’umanità, impersonano quel tipo di cristiani zelanti, troppo zelanti, talmente zelanti nel mettere a puntino ogni dettaglio, da arrogarsi l'ufficio di sapere solo essi fare il bene, di sapere solo essi come si fanno le cose, di sapere solo essi che cosa gli altri debbano o non debbano fare: e rischiano così di smarrire l’essenziale, di perdere di vista l’essenza delle cose, ciò che veramente conta.

Per cui, se la processione del Corpus Domini o del patrono passa da una via piuttosto che da un’altra, non cambia niente: l’importante è aver camminato come comunità insieme al nostro Signore lungo le strade della vita di ogni giorno. Se a un pranzo in parrocchia c’è un menù diverso rispetto a quello “stellare” degli altri anni, non cambia niente: l’importante è vivere un bel momento di aggregazione per sentirci comunità. Se al tuo matrimonio le rose non sono gialle come le volevi, ma bianche, oppure al posto dei tulipani ci saranno le calle, non cambia niente: l’importante è che vi amiate e che il vostro amore non appassisca come i bei fiori che avete scelto per quel giorno. Se in una messa solenne il Gloria non è cantato, non cambia niente: la messa è già di per sé il momento in cui diamo gloria a Dio. Se la gita parrocchiale ha come meta un luogo non così interessante come gli altri anni, non importa: ciò che conta è stare insieme e fare gruppo.

Potremmo continuare all’infinito, con gli esempi. Ma non ce n’è bisogno: conta solo una cosa, e le due sorelle di Betania – una subito, l’altra dopo un benevolo rimprovero da parte dell’amico Gesù – l’hanno capito perfettamente. Donna Prassede no, perché probabilmente non cambiò mai, dato che il Manzoni liquida la sua morte a causa della peste con un'osservazione amara: "Quando si dice ch'era morta, è detto tutto", quasi a dire che quando fai il bene fine a se stesso o per la ricerca di una perfezione personale, e non certo per carità cristiana, la morte avviene senza quasi che nessuno provi pena per te.

Ma abbiamo davanti tutta una vita, per ricercare l’essenziale, “l’unica cosa che conta”.