PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 9 settembre 2018 - XXIII Domenica T. Ordinario - B 

1ª lettura: Is 35,4-7a

2ª lettura: Gc 2,1-5

Vangelo: Mc 7,31-37

 

Prima di tutto, ascoltare

 

So di essere in genere un po’ intollerante e insofferente verso le cose o le persone che non mi garbano, ma se c’è una cosa che faccio veramente fatica a sopportare sono le persone che, invece di parlare, urlano, sia che parlino in privato sia che lo facciano per strada, in piazza, in mezzo a tutti. Certo, ognuno ha il proprio tono di voce; ma pare che qualcuno abbia pure quello degli altri… Si sa, nella maggior parte dei casi, soprattutto se si tratta di persone anziane, è un problema di sordità, e allora non si può che avere tolleranza e comprensione, anche perché prima o dopo, tutti passeremo attraverso quella porta, che ci introduce inesorabilmente nella stanza dell’isolamento e, pian piano, della solitudine e della sofferenza.

Ma la sordità ha mille sfaccettature: non c’è solamente la sordità acustica o fisica, di fronte alla quale possiamo fare poco. Esiste anche una sordità potremmo dire “etica”, comportamentale, che è quella per mezzo della quale si evita di ascoltare, di sentire, di entrare in contatto con gli altri, e in molti casi è una scelta volontaria (come diciamo pure nel proverbio: “Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”). A volte si evita di sentire perché non si sopportano certi tipi di discorsi, per i più svariati motivi: perché rivangano un passato doloroso da superare, perché danno fastidio, perché sono sempre le solite cose, perché vengono pronunciati da persone sgradite, e via discorrendo. A volte, invece, si tralascia di sentire per evitare di reagire e di creare, così, situazioni ancor più conflittuali. Altre volte ancora si evita di sentire per il solo fatto che si è convinti sempre e comunque di avere ragione, di essere certi delle proprie convinzioni, per cui ascoltare un parere differente - oltre che dar fastidio o fare perdere tempo – potrebbe mandare in crisi certi nostri modi di pensare e di comportarci, e allora ci si tappa le orecchie per evitare qualsiasi disturbo. Ci manca poi che il caotico e frenetico ritmo della vita di ogni giorno, il traffico a volte insopportabile, gli schiamazzi fastidiosi spesso frequenti nelle vie e nelle piazze delle nostre città e dei nostri paesi, contribuiscano a quell’inquinamento acustico a cui veramente tutti quanti siamo soggetti.

E non finisce lì, perché – come accennavo prima – la diretta conseguenza di questa fatica dell’ascolto è il parlare spropositato, a toni alti e frequenti, indice propriamente di una scarsa predisposizione all’ascolto. Non si vuole ascoltare una persona che ci richiama a determinate cose, e allora alziamo la voce; non si vuole proseguire una discussione ascoltando ragionevolmente l’altro, e allora si alza la voce nella speranza di chiuderla lì; ci si vuol far sentire a distanza per evitare di entrare a diretto contatto con una persona e parlargli a tu per tu, e allora si alza la voce da un capo all’altro della strada; si teme che le nostre così importanti parole possano essere sopraffatte dall’inquinamento acustico che ci circonda, e allora si alza la voce riuscendo a emettere dei decibel superiori anche al suono delle campane; si urla per spararla più grossa degli altri, nella speranza che questo serva a darci il titolo di “re della piazza”…e a volte, si parla e si urla anche per prevalere sul più inquietante dei rumori, quello che tocca il profondo dell’anima, e che spesso ci da fastidio più di qualsiasi chiasso o baccano, ed è il rumore del silenzio…In ogni caso, il parlare in maniera forte e spropositata altro non è che un modo di parlare in maniera scorretta, legata, come dicevo, all’incapacità, all’impossibilità, o alla non volontà di ascoltare, di sentire, di udire.

E un’incapacità a parlare correttamente, legata proprio alla sua sordità, era ciò che affliggeva il sordomuto guarito da Gesù nel Vangelo di oggi. Sappiamo bene che se uno è sordo dalla nascita, difficilmente riesce a parlare e a esprimersi in maniera corretta, ed è il caso di questo sordomuto, descritto in realtà dall’evangelista con un termine (“uno che parla con difficoltà” sarebbe la traduzione esatta) che richiama soprattutto la sua incapacità a parlare normalmente, conseguenza ovviamente della sua sordità. Per questo, il soggetto cui Gesù aprirà bocca e orecchi non è uno dei tanti malati guariti miracolosamente da Gesù, ma è simbolo dell’uomo che sbraita, che sbiascica parole, che parla confusamente e senza senso, incapace, insomma, a parlare in maniera normale perché incapace ad ascoltare. E sempre simbolicamente, questo ci porta a riferirci non tanto a quei casi che anche simpaticamente abbiamo descritto all’inizio, ma a ciò di cui essi sono espressione e sintomo: la nostra scarsa – se non addirittura nulla – predisposizione all’ascolto. C’è poco da fare: quell’“Effatà-Apriti” che Gesù pronuncia sul sordomuto, e che la Chiesa pronuncia simbolicamente su ogni cristiano all’inizio della nostra storia di fede nel rito del battesimo, altro non è se non l’invito, l’esortazione, a metterci in ascolto prima ancora di ogni tentativo di parola, perché se non ascoltiamo correttamente non possiamo pretendere di parlare altrettanto correttamente. Se non ascoltiamo gli altri, difficilmente possiamo dire qualcosa di giusto e di buono, a loro e a noi stessi; se ci isoliamo dal resto del mondo convinti di avere ragione, difficilmente le nostre saranno parole vere; se non sappiamo ascoltare la più profonda delle voci, quella del silenzio, è praticamente impossibile che dalla nostra bocca escano parole edificanti. Se un cristiano non è ascolta, innanzitutto, la Parola di Dio, è bene che eviti di proclamarla o di professare pubblicamente la sua fede con sentenze assertive e giudizi taglienti.

Pensiamoci, ogni volta che ci viene voglia di alzare la voce o di affermare con forza certe posizioni, convinti di possedere la verità in mano. C’è una sola verità: quella del Dio fatto uomo, l’unico capace di “fare bene ogni cosa”.