PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 7 ottobre 2018 - XXVII Domenica T. Ordinario - B

1ª lettura: Gen 2,18-24

2ª lettura: Eb 2,9-11

Vangelo: Mc 10,2-16

 

La sclerosi del cuore

 

Quando una persona inizia a dover lottare con il tempo che passa e con gli anni che si accumulano sulle sue spalle, la fatica di vivere lo porta ad assumere dei comportamenti che mai e poi mai, in giovane età, si sarebbe immaginato di assumere, soprattutto a riguardo della conoscenza, dell’uso della ragione e della memoria. Oggi, a questi comportamenti, la scienza assegna dei nomi che, nonostante siano di origine anglosassone, ormai abbiamo imparato a pronunciare con scioltezza, classificandoli come un “morbo”; mentre fino a qualche anno fa eravamo meno scientifici, e a un anziano che cominciava a dare i primi segni di decadimento a livello cognitivo, dicevamo semplicemente che era “sclerotico”. In realtà, il termine “sclerosi” non è poi così sbagliato, benché molto generico: infatti, è un parola greca che significa “indurimento”, e viene assegnato a molti tipi di malattie spesso drammatiche, sia per chi le vive sia per chi è chiamato ad accompagnare con pazienza, attenzione e rassegnazione le persone che ne soffrono.

Usciamo però, ora, dall’ambito medico-biologico e andiamo a prendere in considerazione un tipo di sclerosi che riguarda ancora una parte del corpo, ma non nel senso in cui la possiamo intendere noi, ed è la sclerosi del cuore, quella che nel Vangelo che Marco ci propone oggi, è chiamata “sclerocardìa” o “durezza del cuore”. È un termine che torna più volte nei Vangeli, e che di solito Gesù riferisce alla chiusura mentale e agli atteggiamenti intransigenti delle autorità religiose del suo tempo. Proprio come nella malattia la chiusura e l’indurimento delle arterie impediscono al sangue di fluire regolarmente verso gli organi vitali, così nella “durezza di cuore” ciò che non fluisce più in maniera regolare provocando la morte interiore, la morte dell’anima è proprio la ricchezza e la freschezza vitale della Parola di Dio. Quando non c’è più riferimento alla Parola di Dio, e preferiamo riferirci a leggi, norme, precetti e comportamenti puramente umani, la nostra vita di credenti perde la sua linfa vitale, si atrofizza e muore.

E quanto espresso dal vangelo di oggi, si comprende ancor meglio se teniamo conto del vero e profondo significato del termine “cuore” nella mentalità ebraica. Per noi il cuore, oltre che a essere un organo vitale, è la sede dei sentimenti, soprattutto dell’amore e di tutti gli altri sentimenti a esso correlati: la compassione, la gentilezza, la tenerezza, la misericordia, la cordialità, la simpatia, l’amicizia, l’affetto, la bontà, e chi più ne ha più ne metta. Questi sentimenti, nella cultura ebraica, erano più cose “di pancia”, di ventre, ossia si riteneva fossero qualcosa che risiedeva nelle viscere: non a caso, erano sentimenti molto più femminili che maschili, perché solo chi sapeva cosa significasse generare vita nelle proprie viscere, poteva comprendere il significato profondo di questi sentimenti legati all’amore.

Il cuore, per la cultura ebraica, era sede di tutt’altro: era il luogo in cui albergava la ragione, la comprensione, le scelte razionali della vita, i progetti che una persona aveva in mente per sé e per i propri cari, soprattutto se illuminati dalla forza e dalla luce della Parola di Dio. Per questo, nell’Antico Testamento, la durezza di cuore era quasi esclusivamente riferita ai momenti in cui il popolo d’Israele si rifiutava di ascoltare la voce di Dio: questo rifiuto impediva alla linfa vitale della Parola di Dio di entrare nel cuore dell’uomo e di renderlo vivo e pulsante perchè, appunto, “sclerotico”, “indurito”. La durezza di cuore dei credenti in Israele impediva loro di comprendere in profondità il disegno di Dio sulla storia: un disegno che rimanda alla Creazione, al momento cioè in cui Dio diede inizio al mondo basando tutto sulla forza della sua Parola creatrice e sulla fiducia posta nell’uomo, dal momento in cui lo mise a custodia di tutto il Creato. Poi però l’uomo ha tradito la fiducia di Dio, pensando di poter tranquillamente fare a meno di lui: e allora Dio, talmente buono da lasciare l’uomo libero di fare le sue scelte anche qualora contrarie al suo disegno, si vide come “costretto” a ispirare leggi, norme e precetti che, tradotte da Mosè nella Legge, tenessero conto di questa “chiusura del cuore”, ossia di questa incapacità dell’uomo a ritornare alla bellezza delle origini, dove il rapporto con Dio e con l’altro non era mediato da nessuna legge se non quella dell’amore fiducioso e incondizionato.

È proprio a questa bellezza delle origini che Gesù rimanda i propri interlocutori, i quali riducono il discorso del rapporto tra uomo e donna solamente a un fatto contrattuale, dove (chissà come mai…) chi si portava via la parte peggiore era sempre la donna, che poteva per qualsiasi motivo essere ripudiata, rigettata, cacciata via dal proprio marito nel caso il loro rapporto subisse fratture o incomprensioni anche banali. Ma all’inizio, non fu così: non c’era durezza di cuore, c’era solo un cuore aperto all’amore di Dio e all’amore reciproco che rendeva bella ogni cosa perché basata sulla fiducia. Poi è subentrata la durezza del cuore, quella che, provocata dal peccato delle origini, impedì a Dio di entrare nella vita dell’uomo, il quale decise di fare tutto da sé, e lo fece – e continua a farlo tutt’ora – con la durezza del cuore.

Oggi la durezza del cuore ha molte facce, e il Vangelo di oggi ce ne “pennella” alcune, legate soprattutto –ma non solo – alla vita di famiglia, di coppia, e alle relazioni in generale. Abbiamo la sclerosi nel cuore ogni volta che, pur dicendo di amarlo, impediamo all’altro di essere se stesso, neghiamo la sua libertà, non gli diamo fiducia;

abbiamo la sclerosi nel cuore quando manchiamo di rispetto all’altro, quando lo consideriamo un oggetto di nostra proprietà da utilizzare a nostro piacimento;

abbiamo la sclerosi nel cuore quando abbiamo paura di abbandonare “il padre e la madre”, ovvero la sicurezza del nido in cui siamo stati covati, per volare nel cielo della vita con chi è per noi più di un padre e di una madre, perché è “mia carne”, cioè me stesso;

abbiamo la sclerosi nel cuore quando pensiamo di poter fare a meno dell’altro senza tenerne conto nelle nostre scelte di vita, quelle grandi come quelle quotidiane;

abbiamo la sclerosi nel cuore ogni volta che ci danno fastidio i più piccoli, i bambini, gli anziani, le persone malate, le persone diversamente abili, le persone sole, i poveri e tutti coloro che pensiamo ci facciano perdere del tempo, come se avessimo tutto noi da fare.

In realtà, oggi il Vangelo ci dice che abbiamo una sola cosa da fare: tornare alla freschezza delle origini, dove l’altro non era un problema, ma un aiuto, perché in tutto simile a noi. Forse questo ci aiuterebbe a essere meno sclerotici, in tutti i sensi.